Oggi ricorre l'85° anniversario della morte di Grazia Deledda (Nuoro, 28 settembre 1871 - Roma, 15 agosto 1936). Deledda è stata una scrittrice italiana.
«Per la sua potenza di scrittrice, sostenuta da un alto ideale, che ritrae in forme plastiche la vita quale è nella sua appartata isola natale e che con profondità e con calore tratta problemi di generale interesse umano.» — Les Prix Nobel en 1927, p. 49. Questa la motivazione del Premio Nobel per la Letteratura a lei attribuito nel 1926.
La scrittrice, in tale occasione, pronunciò un memorabile discorso di ringraziamento, qui integralmente trascritto:
«Sono nata in Sardegna. La mia famiglia, composta di gente savia, ma anche di violenti e di artisti primitivi, aveva autorità e aveva anche biblioteca. Ma quando cominciai a scrivere, a tredici anni, fui contrariata dai miei. Il filosofo ammonisce: se tuo figlio scrive versi, correggilo e mandalo per la strada dei monti; se lo trovi nella poesia la seconda volta, puniscilo ancora; se va per la terza volta, lascialo in pace, perché è un poeta. Senza vanità anche a me è capitato così.
Avevo un irresistibile miraggio del mondo e soprattutto di Roma. E a Roma, dopo il fulgore della giovinezza, mi costruì una casa mia dove vivo tranquilla col mio compagno di vita ad ascoltare le ardenti parole dei miei figli giovani.
Ho avuto tutte le cose che una donna può chiedere al suo destino, ma grande sopra ogni fortuna, la fede nella vita e in Dio. Ho vissuto coi venti, coi boschi, colle montagne. Ho guardato per giorni, mesi ed anni il lento svolgersi delle nuvole sul cielo sardo. Ho mille e mille volte poggiato la testa ai tronchi degli alberi, alle pietre, alle rocce per ascoltare la voce delle foglie, ciò che dicevano gli uccelli, ciò che raccontava l’acqua corrente. Ho visto l’alba e il tramonto, il sorgere della luna nell’immensa solitudine delle montagne, ho ascoltato i canti, le musiche tradizionali e le fiabe e i discorsi del popolo. E così si è formata la mia arte, come una canzone, o un motivo che sgorga spontaneo dalle labbra di un poeta primitivo».
Delle sue opere ricordiamo Canne al vento (1913), Marianna Sirca (1915), Elias Portolu (1903), Cenere (1903), Cosima (1937) e, fra le novelle, La danza della collana (1924), Sangue Sardo (1888) e Di notte (1894).
Sono diverse le trasposizioni cinematografiche delle sue opere, come, ad esempio, il film Cenere (1916), tratto dall'omonimo romanzo, diretta da Febo Mari e interpretato da Eleonora Duse, il film Amore rosso - Marianna Sirca di Aldo Vergano, tratto da Marianna Sirca (1952) e Canne al vento, regia di Mario Landi (1958).
Alcuni pensieri tratti dalle sue opere:
“— Adattarsi bisogna, – disse Efix versandogli da bere. – Guarda tu l’acqua: perché dicono che è saggia? Perché prende la forma del vaso ove la si versa.” — Canne al vento, 1913.
“Ed ecco nella fantasia stanca del servo le cose a un tratto cambiano aspetto come dalla notte al giorno; tutto è luce, dolcezza: le sue nobili padrone ringiovaniscono, si risollevano a volo come aquile che han rimesso le penne; la loro casa risorge dalle sue rovine e tutto intorno rifiorisce come la valle a primavera.” — Canne al vento, 1913.
«Un uomo libero è sempre adatto per una donna libera: basta ci sia l'amore.» — Canne al vento, 1913.
«— Uomini siamo, Elias, uomini fragili come canne, pensaci bene. Al di sopra di noi c'è una forza che non possiamo vincere.» — Elias Portolu, 1903.
“La vita passa e noi la lasciamo passare come l'acqua del fiume, e solo quando manca ci accorgiamo che manca.” — Canne al vento, 1913.
In un'occasione la scrittrice ebbe a dire: «... io non sogno la gloria per un sentimento di vanità e di egoismo, ma perché amo intensamente il mio paese, e sogno di poter un giorno irradiare con un mite raggio le fosche ombrie dei nostri boschi, di poter un giorno narrare, intesa, la vita e le passioni del mio popolo, così diverso dagli altri, così vilipeso e dimenticato e per ciò più misero nella sua fiera e primitiva ignoranza.» — Amore lontano: lettere al gigante biondo (1891-1909), 2010.
Antonio Capuana scrisse di lei:
«La signorina Deledda fa benissimo di non uscire dalla sua Sardegna e di continuare a lavorare in questa preziosa miniera, dove ha già trovato un forte elemento di originalità. I suoi personaggi non possono essere confusi con personaggi di altre regioni; i suoi paesaggi non sono vuote generalità decorative. Il lettore, chiuso il libro, conserva vivo il ricordo di quelle figure caratteristiche, di quei paesaggi grandiosi; e le impressioni sono così forti, che sembrano quasi immediate, e non di seconda mano, e divengono percepibili come attraverso un’opera d’arte.» — Gli "ismi" contemporanei, Romanzi e novelle, IV. Grazia Deledda — Alfredo Panzini, 1898.
Giuseppe A. Borghese scrisse di lei: «... ella ha il dono del racconto, che è una ricchezza istintiva, come l'entusiasmo del lirico e l'eloquenza del prosatore: una ricchezza che non si conquista con la fatica e che non si regala a nessuno. Grazia Deledda è una narratrice di razza, come una vecchia contadina.» — La vita e il libro, seconda serie, 1911.
Che dire? I suoi scritti traggono forza dai personaggi caratterizzati dalla terra di Sardegna, dalla profondità dei suoi paesaggi e dalle forti emozioni che fanno percepire delle opere d'arte. Dipingono uno spaccato della vita rurale a cavallo tra il dicannovesimo e il ventesimo secolo. Efix, in Canne al vento, è probabilmente il personaggio più ben riuscito fra tutti quelli sgorgati dalla penna di Grazia Deledda. Il titolo del romanzo ben rappresenta il dolore dell'esistenza e della fragilità umana narrata nella storia. Il paesaggio sardo, un mondo misterioso e senza tempo, fa da sfondo alle amare vicende dei personaggi e ci immerge nel loro scorrere. Il premio Nobel Grazia Deledda dipinge un affresco verista di grande vigore. Se ti piace scoprire l'antica cultura sarda e la grande letteratura italiana, allora non devi perdere Canne al vento!
La lettura del romanzo Cosima, può aiutarti a conoscere meglio l'autrice, visto che è una sorta di autobiografia.
Buona lettura.
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